
L’Europa deve porsi al centro delle politiche migratorie e deve trovare il modo di accogliere i migranti. E’ la raccomandazione fatta dai presidenti nazionali delle ACLI Bottalico e dell’UNAIE Narducci, cui ha fatto eco l’avvertimento lanciato dalla Fondazione Migrantes, che ormai il 3% della popolazione italiana espatria all’estero, con un trend che si rivela sempre più in salita. Per contro, attribuire a branche dell’associazionismo compiti di tipo pubblico, non è in contrasto con il principio della sussidiarietà che caratterizza il nostro ordinamento, come è emerso soprattutto dall’intervento del Prof. Giuseppe Colavitti.
Raccordare la grande esperienza nel campo maturata dall’associazionismo italiano all’estero e il notevole lavoro di studio e di ricerca svolto dal mondo accademico sul fenomeno migratorio era la riflessione che intendeva porre l’UNAIE (Unione Nazionale Associazione Immigrati Emigrati) il 26 febbraio presso il Senato della Repubblica agli addetti ai lavori. Inserire, poi, le potenzialità del vasto movimento associazionistico – rappresentativo di milioni d’italiani – nel concerto europeo e, per quanto riguarda l’Italia, contribuire al successo dell’Expo 2015, come ha tenuto a ribadire il Presidente nazionale dell’UNAIE, On. Franco Narducci, aprendo i lavori del seminario, costituisce un progetto ambizioso, comunque non difficile da conseguire.
Il mondo accademico ha partecipato all’iniziativa rappresentato dai “più antichi” studiosi del fenomeno migratorio, ossia i geografi, che hanno iniziato per conto proprio un percorso di studio che comprende un approccio globale del fenomeno, che ricomprende non soltanto i più tradizionali processi di immigrazione ed emigrazione, ma anche le nuove forme di mobilità. Un lavoro che si è concretizzato, tra gli altri, in un volume, Percorsi migratori della contemporaneità (Cuec 2013) portato all’attenzione del seminario dal Prof. Marcello Tanca (Università di Cagliari e curatore del volume insieme a Silvia Aru ed Andrea Corsale). Il volume, con i suoi ventiquattro saggi, mostra come la tematica migratoria richieda, data la sua complessità, un approccio multidisciplinare e plurisfacettato (metodi di indagine quantitativi e qualitativi).
Davanti a un uditorio molto attento – composto di dirigenti nazionali del movimento associazionistico, di docenti universitari, giornalisti, esperti del ramo, amministratori regionali e parlamentari italiani – si è dunque snodata la lunga (e ricca) sequela di relazioni e d’interventi, tutti coordinati e legati tra loro con la consueta abilità da Gianni Lattanzio. Per il mondo accademico hanno presentato oratori di prestigio. Per primo il Prof. Carlo Brusa, dell’Università Orientale del Piemonte, il quale ha sostenuto la necessità di superare la mera macroanalisi, legata ai dati quantitativi, valorizzando piuttosto gli spazi vissuti dei migranti, perché è soprattutto attraverso un approccio analitico che riesce a emergere sia la carica positiva sia la vulnerabilità sociale in cui troppo spesso versano i migranti, con particolare riferimento ai processi d’integrazione implicita e subalterna. In particolare, poi, l’Expo di Milano, ha sostenuto Brusa, si pone come un’occasione per studiare ancora meglio queste dinamiche sia dal punto di vista degli aspetti materiali (segnatamente quelli legati al cibo), che da quello dei vissuti personali ad essi legati. Di seguito la Prof. Flavia Cristaldi, dell’Università della Sapienza di Roma, riallacciandosi a uno dei temi centrali del seminario, dopo aver segnalato che buona parte dell’ingente produzione di ricerche in questo campo, da parte dell’Università, rimane circoscritta e non si diffonde, ha costatato – anche sulla base di una specifica ricerca condotta per la Regione Lazio – che non sempre c’è una relazione diretta, in un dato luogo, tra la presenza degli emigrati italiani e quella delle associazioni formalizzate; un fatto questo da tenere nella dovuta considerazione soprattutto se si vuole attribuire un valore alla rappresentatività in emigrazione. Perciò la relatrice ha auspicato che si possano trovare le giuste sinergie tra tutte le forze in campo, soprattutto con la politica.
Inevitabile in questa fase stabilire la consistenza e gli aspetti quali-quantitativi delle nuove migrazioni, elemento di cui si è occupata con la consueta precisione la Dr Delfina Licata, che da anni cura il Rapporto sugli italiani nel mondo per la Fondazione Migrantes. In buona sostanza la studiosa ha precisato che l’emigrazione italiana negli ultimi anni ha presentato un trend verso l’alto del 3% annuo, peraltro in continua crescita, e così pure ha osservato che, alle mete tradizionali, se ne aggiungono delle nuove, come la Finlandia e l’Oriente in genere. Cambiano anche i percorsi, che diventano sempre più precari: si sta fuori pochi mesi, quindi o si torna oppure si rimane per chissà quanto tempo o si cambia destinazione. Non solo, ma risultano maggiormente mobili i maschi delle femmine, per un 30-35% in più, ma emigrano anche i nuclei familiari e le partenze all’estero sono sempre più consistenti dal nord Italia (ma, sorge il dubbio, si tratta di persone che si erano già spostati al nord dal sud?).
L’intervento di un’altra ricercatrice, la Dr Silvia Aru dell’Università di Cagliari, si è basato sulla premessa che il tema migratorio rappresenta per la ricerca – accademica e non solo – un campo di indagine vario e molteplice, soprattutto se si intendono le emigrazioni come “fatto sociale totale”. Quindi, la studiosa ha sottolineato che esistono vari modi per affrontare la tematica migratoria, come mostra l’ampliamento degli studi in termini quantitativi e qualitativi negli ultimi trent’anni. Infatti, a partire dagli anni ’80, si è sviluppato l’”approccio” prevalentemente biografico, che ha dato voce alle storie di vita dei migranti, ossia le “microstorie”, accanto alla ricostruzione generale dei flussi permessa dai dati statistici e quantitativi. Gli studi qualitativi sulle emigrazioni italiane – attraverso ricerche empiriche in loco – permettono di dare spessore a questo fenomeno, che appare più complesso di quanto non mostrino i dati ufficiali a disposizione, per quanto importanti, ma comunque sottostimati e non sempre chiari.
Nella seconda parte del seminario, al mondo accademico si sono aggiunte le risposte/proposte della politica e dell’associazionismo, ossia di ambiti e competenze che, induttivamente, si sono costruite proprio sull’interiorizzazione di quelle microstorie sulla cui validità si esprime il mondo della ricerca. Della politica in particolare, con l’assessore Dr Luca Mefe della Regione Molise che si è soffermato sulla necessità di non interrompere gli sforzi, anche finanziari, per mantenere la grande rete dell’associazionismo all’estero e del consigliere regionale del Lazio che ha fatto gli onori di casa segnalando come anche la sua regione si sia sempre interessata al fenomeno con interventi di qualità. Quindi, è stata la volta del Sen. Paolo Corsini, Vice presidente della Commissione Esteri del Senato, persona e intervento che in qualche modo si pongono a cavallo tra i due mondi trattandosi di un professore universitario che conosce perfettamente e a trecentosessanta gradi i temi posti sul tappeto in questo seminario. Il Senatore si è auspicato, in particolare, che s’incominci a dare un senso all’associazionismo italiano nel mondo, in quanto garanzia di comunità e per la sua capacità di rappresentare gli italiani e, in più, innescare solidarietà, in linea con i processi di cambiamento della società italiana. Sotto questo rispetto, ha sottolineato il Senatore Corsini, diventa irrinunciabile il contributo dei parlamentari all’estero, soprattutto perché s’instauri un corretto rapporto tra rappresentanza e istituzioni. I temi centrali del seminario sono stati ripresi dall’On. Fabio Porta, Presidente del Comitato Permanente italiani nel mondo e promozione del sistema Paese, che ha messo in evidenza la necessità di adeguare anche il sistema dell’associazionismo alla realtà in continuo cambiamento. Per contro ha ritenuto eccessivo parlare di calo d’interesse delle istituzioni riguardo all’associazionismo degli italiani all’estero e, in generale, nei confronti del fenomeno migratorio e assolutamente ingeneroso il sillogismo che corre in alcuni ambienti, e cioè che da quando sono arrivati i parlamentari all’estero è caduto l’interesse per il problema. La verità è che si tratta di un rapporto da rivedere, anche perché è caratterizzato da un eccesso di assistenzialismo. Va preso atto della nascita, nell’ambito dell’associazionismo, di organismi sempre più trasversali, una realtà non sempre facile da decifrare, mentre il voto dei Comites dovrebbe indurre a riflettere maggiormente su questo istituto e sulla qualità del sistema di rappresentanza.
La concentrazione degli interventi del mondo dell’associazionismo, ha permesso in primo luogo al Mons. Giancarlo Perego, Direttore Generale della Fondazione Migrantes, di rappresentare la necessità di creare un ponte tra la diaspora italiana nel mondo e la realtà del nostro paese, che trova un momento insostituibile di rappresentanza proprio nell’associazionismo. Un fenomeno tanto più importante perché esso da sempre difende la persona e mostra tutta l’attenzione alla cultura. Il tema è stato ripreso da Gianni Bottalico, Presidente Nazionale delle ACLI, che si è soffermato sulla necessità, riguardo agli aspetti generali delle migrazioni, di rilanciare i temi della solidarietà, della giustizia sociale e delle povertà, anche perché nella nostra società crescono sempre di più le diseguaglianze e fette notevoli di persone rischiano l’esclusione sociale. Per questi motivi l’Europa deve essere capace di raccogliere i migranti e per le stesse ragioni va mantenuta all’estero la rete dei patronati senza cedere alla tentazione di buttare via tutto col pretesto che tutto va male. Il discorso dell’associazionismo, poi, è coerente con la necessità che hanno organizzazioni come le Acli di rappresentare ceti sociali che non hanno rappresentanza, tema di primaria di cui tener adeguatamente conto. Mantenere la cultura italiana anche nelle terze e quarte generazioni è la nostra sfida. Nel mondo stanno chiudendo le scuole italiane all’estero, quindi occorre agire e occorre anche pensare a un nuovo ruolo per i nostri servizi. Perciò Bottalico reputa che tutti costituiscano una parte importante di questo sistema, per cui i corpi intermedi sono importanti per la razionalizzazione e la modernizzazione del nostro paese. Per il Coordinatore nazionale della Filef, Rodolfo Ricci, il nostro paese in passato ha fatto tanto per la collettivizzazione ma poi si è fermato. Infatti ora si sta verificando un progressivo allontanamento dall’associazionismo. Succede che chi va via dall’Italia taglia tutti i rapporti e questo non va bene. Le istituzioni devono muoversi perché si parla di oltre 4 milioni di persone che si disperdono in tutto il mondo. Per questo auspica che gli Stati Generali servano a dare una scossa in questo senso anche perché i dati in calo delle iscrizioni alle prossime elezioni Comites appaiono preoccupanti e richiedono che si faccia qualcosa. Raccoglie la sfida Rino Giuliani, che parla a nome del Coordinamento degli Stati Generali dell’Associazionismo in emigrazione che si terranno entro l’anno. Le associazioni, infatti, rappresentano l’aspetto partecipativo, momento di rappresentanza sociale e non politica insostituibile.
Però, oltre all’incontro sociale, c’è anche l’aspetto dell’innovazione rappresentato ad esempio dalla presenza di blog di italiani all’estero sui social, “piazza virtuali” che raggiungono attualmente oltre un milione di iscritti. Le associazioni sono importanti ma il mondo sta cambiando e occorre esserne consapevoli e partecipi.
Il mondo accademico s’interseca ancora una volta con quello associativo nell’intervento del Prof. Giuseppe Colavitti, dell’Università dell’Aquila, che si prodiga nell’esplorazione del nesso tra lavoro e principi costituzionali, sancito dall’articolo 3 della Carta fondamentale, che non a caso pone il primo a fondamento della Repubblica. Se quindi il lavoro è espressione sociale dell’uomo che esprime se stesso e migliora la società ne deriva, secondo il giurista, che la Costituzione tutela anche il lavoro dell’italiano all’estero, da cui consegue il diritto alla protezione da parte dello Stato. In questa logica s’inquadra anche la funzione dell’associazionismo italiano all’estero, che può essere concepito in termini di sussidiarietà rispetto alle funzioni che lo Stato italiano è chiamato a svolgere a favore dei suoi cittadini che risiedono oltre i confini. Per questo motivo, dunque, è importante che lo Stato reperisca le risorse necessarie per intervenire a tutela dei propri concittadini. Ha chiuso, infine, i lavori, l’Avv. Mimmo Azzia, Presidente Onorario dell’UNAIE e decano del CGIE, il quale ha rivendicato all’associazionismo all’estero un ruolo trainante nelle politiche migratorie dello stato italiano nella specifica materia, anche perché – come mostra il legame di questo seminario con il tema dell’EXPO 2015 – nel momento in cui l’Italia cerca di rapportarsi col mondo globale nella molteplicità degli aspetti, ha sempre bisogno della sua vasta comunità di cittadini e discendenti residenti all’estero.
In definitiva, dagli interventi, dalle riflessioni scritte consegnate all’organizzazione, ma anche dagli umori e dai commenti espressi dai partecipanti al seminario – posto che non si è riusciti a far parlare tutti gli autorevoli presenti –, anche nelle fasi più informali della giornata, è emersa la necessità di andare più a fondo e oltre nei problemi sollevati nel seminario superando soprattutto, anche grazie al contributo del mondo accademico, analisi scontate e conoscenze stratificate. Così per la Prof. Laura Bisso (consigliere UNAIE e presidente di “Palermo Mondo”), che dopo aver ricordato che i flussi migratori non sono solo una realtà del nostro tempo, osserva che oggi la meta dei migranti è l’Europa anche gli europei si mostrano poco preparati ad accogliere un così elevato numero di migranti e scarsamente consapevoli che in un futuro non troppo lontano, proprio attraverso queste migrazioni, cambierà l’assetto politico e antropico del continente. Perciò è necessaria la cooperazione con le varie associazioni, le uniche che, nel corso di un lungo tempo, si sono occupate dei migranti e ne hanno favorito l’insediamento nei nuovi paesi. Dunque, i partecipanti al seminario hanno avvertito la necessità d’inquadrare questo tema nell’ambito degli aspetti più direttamente collegati, come quelli dell’immigrazione e dei rifugiati, e di metterlo in relazione con le nuove migrazioni, rispetto alle quali per esempio il mondo tradizionale dell’associazionismo, al di là nelle dichiarazioni di solidarietà, sul piano operativo appare abbastanza incerto. E, infine, è emersa una forte attenzione al momento di difficoltà economica che attraversa il paese, espressa soprattutto nella necessità di superare gli approcci assistenziali di tipo tradizionale al fenomeno migratorio, che pone tutti in eterna attesa dell’intervento statale e/o comunque pubblico – per inciso, in generale considerato abbastanza inadeguato – per rivolgersi soprattutto agli aspetti della crescita, come l’occasione offerta dall’EXPO, in cui può risaltare in tutta la sua importanza il ruolo e il carattere di “risorsa” della ragguardevole presenza italiana all’estero. In questo senso si auspicano e si aspettano altri momenti d’incontro e di confronto concentrati su temi più specifici, in modo che occasioni di riflessioni come questa non rimangano episodiche.