
La mobilità internazionale delle figure professionali altamente qualificate è un fenomeno cui i Paesi europei devono prestare particolare attenzione.
All’interno dell’UE è stata rilevata una carenza di forza lavoro in diversi settori altamente specializzati e si stima un deficit di circa 1 milione e 750 mila di diverse figure professionali (nei settori delle telecomunicazioni e in quello sanitario) entro il 2020, che difficilmente potrà essere compensato dai milioni di disoccupati già presenti nell’UE.
Già lo scorso anno, nonostante 3,8 milioni di posti vacanti nel mercato del lavoro comunitario, i datori di lavoro hanno faticato a trovare figure professionali necessarie, sia a causa di fattori demografici sia per le nuove competenze professionali richieste.
A ciò si aggiunga l’aumento, tra il 2004 e il 2016, del numero dei migranti interni comunitari con alta qualifica, quasi triplicato, la maggior parte dei quali inserito in settori poco qualificati e la conseguente tendenza per tale categoria di migranti internazionali di preferire il trasferimento in un paese non europeo, come Cina e Stati Uniti (68%) (I dati sulle migrazioni qualificate sono tratti dalla pubblicazione L’Europa dei talenti. Migrazioni qualificate dentro e fuori l’Unione Europea, redatto dal Centro Studi e Ricerche Idos e dall’Istituto di Studi Politici “S. Pio V”, 2019).
Appare evidente che i Paesi europei devono far fronte alla necessità di nuovi apporti di lavoratori qualificati consolidando la propria base di competenze e rendendosi maggiormente “attrattivi”.
L’Italia, Paese in cui il numero dei laureati risulta ancora molto al di sotto della media europea, il cui mercato del lavoro ha difficoltà a offrire opportunità in linea con le competenze di chi possiede alti profili e in cui continua a crescere la propensione all’espatrio dei laureati, ha cercato di dotarsi di misure attrattive, sebbene molto limitate, se non per frenare la perdita di capitale umano qualificato almeno per incentivarne la circolazione, favorendone il rientro o incoraggiando l’arrivo di apporti nuovi.
Le misure tuttora attive riguardano incentivi fiscali per favorire il rientro di ricercatori e docenti (art. 44 del D.l. 78/2010), di lavoratori “impatriati” laureati o altamente qualificati e specializzati (art. 16 del d.lgs 147/2015), ma anche l’arrivo di nuovi residenti fiscali in Italia (art. 24-bis del TUIR, Testo unico delle imposte sui redditi). Per quanto riguarda requisiti richiesti e modalità di funzionamento delle misura sopra citate si veda la guida dell’Agenzia delle Entrate, Gli incentivi fiscali per l’attrazione del capitale umano in Italia, 2018.
Recentemente, però, questo sistema è stato messo in crisi dall’azione dell’Agenzia delle Entrate che ha inviato cartelle esattoriali per decine di migliaia di euro a una parte di coloro che avevano usufruito degli sgravi fiscali per ricercatori e docenti (art. 44 d.l. 78/2010), a causa di un’interpretazione tecnica fatta valere retroattivamente e sulla quale si attendono ancora delle risposte, ma che arriveranno troppo tardi, molte delle persone coinvolte, infatti, sono già tornate all’estero.
Pubblichiamo di seguito il comunicato del Comitato 11 ottobre per gli italiani nel mondo che interviene su questa vicenda.
RESPINGIMENTO DEGLI ITALIANI RIENTRATI
È quasi un mese che gira la notizia della richiesta della restituzione di presunte somme non dovute, a causa della mancata iscrizione all’AIRE, da parte dell’Agenzia delle Entrate a tutta una serie di ricercatori rientrati in Italia ai sensi dell’art. 44 del D.L. n.78 del 2010 concernente appunto “Incentivi per il rientro in Italia di ricercatori residenti”. Essa ha avuto una larga eco nella stampa nazionale e suscitato perplessità e sgomento tra gli interessati. Per ciò che ci riguarda la sortita dell’Agenzia è caduta proprio nel momento in cui il Comitato 11 ottobre per gli italiani nel mondo – un’organizzazione volenterosa e apartitica, fatta di studiosi, esperti e operatori del settore – ha messo in cantiere una serie di iniziative, diverse anche con le istituzioni pubbliche interessate, volte a sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema degli italiani all’estero che in particolare intendono rientrare nel paese e dei vantaggi che ciò arrecherebbe. Pertanto il tentativo di settori dello stato profondo di stravolgere un disegno che per una volta qualifica l’intervento pubblico in materia aveva creato e crea tuttora sdegno e sconcerto, di cui intendono farsi interpreti i promotori e i coordinatori del Comitato.
L’aspetto più preoccupante è legato in qualche modo all’indifferenza che è seguita alla denuncia, riguardo a cui non si può fare a meno di rilevare che, giusta anche le analisi emerse negli incontri tra esperti promossi dal Comitato, l’iniziativa dell’organismo preposto alla raccolta delle imposte con questa iniziativa si fa interprete prima che di una legge di una certa cultura, come già scritto nei nostri ordini del giorno, ancora fondata a) sul rancore nei confronti di chi ha abbandonato il paese per autonomi progetti di vita, il più delle volte costretto da problemi economici, ragioni politiche e inadeguatezze del sistema sociale e b) su una sottile vena di xenofobia che, come un fiume carsico, attraversa la società italiana e riemerge periodicamente pervadendo anche spaccati delle istituzioni nonostante, come in questo caso, siano coinvolti cittadini in piena regola e i vantaggi in prospettiva siano indiscutibili per tutto il sistema economico e sociale. Non a caso lo stesso decreto legge si prefiggeva di varare “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”.
Tutto ciò, oltre che veicolare all’esterno il preoccupante messaggio di quanto sia in ultima analisi rischioso confidare in un rientro permanente nella terra di origine, non fa altro che allungare la lista delle condizioni che devono cambiare in Italia nell’ipotesi che s’intendano recuperare le risorse umane sulla cui formazione si sono fatti a suo tempo ingenti investimenti di denaro da parte dello stato e delle famiglie. A questo punto la possibilità di rendere più attrattivo il Paese a intelligenze e capacità deve riguardare non solo università, centri di ricerca, aziende e in generale ogni situazione in campo pubblico o privato che non si basi su criteri di meritocrazia bensì funzioni col mero clientelismo o circuiti baronali, ma a questa lista occorre ora aggiungere anche la riforma della Pubblica Amministrazione e quella fiscale, da troppo tempo invano all’ordine del giorno delle forze politiche e dei governi di ogni colore.
Nella vicenda in questione, infatti, si è assistito allo spettacolo assai poco edificante dal punto di vista dell’etica amministrativa in cui un organo dello stato procede a stravolgere la gerarchia delle fonti giuridiche svuotando di senso una norma primaria, nello specifico quella che gli affidava il compito di favorire il rientro in Italia di professionalità e capacità che negli intendimenti del legislatore sono reputate verosimilmente in grado di contribuire alla ripresa economica del Paese. Si era e si è ancora, dunque, in presenza di una linea politica non casuale, ma ben precisa e conclamata in quanto ripetutamente propugnata e difesa in tutte le sedi dalle autorità di governo e frequentemente rappresentata all’estero dallo stesso Presidente della Repubblica negli incontri con le comunità italiane, con l’autorevolezza che discende da chi rappresenta in base alla Costituzione l’“unità nazionale” . Viceversa l’ossessione per la cura di un interesse pubblico alla luce di un dettaglio burocratico, perseguendo per giunta retroattivamente il contribuente, onde avere, come si suol dire, l’uovo oggi ha fatto in modo che l’interprete attaccandosi a un adempimento non previsto ma ricavato indirettamente da altre disposizioni, ossia l’iscrizione all’AIRE – a differenza di occasioni analoghe in cui questo ostacolo è stato agevolmente superato – ha portato di fatto all’abrogazione di una disposizione legislativa.
Dovrebbe essere, infatti, nella natura delle circolari interpretative facilitare il compito della pubblica amministrazione rendendolo più aderente alla ratio e allo spirito della legge, nel contempo semplificando l’accesso dell’utente ed evitando quanto più possibile il ricorso agli organi giurisdizionali per chiarirne la portata. Orbene, sembra che l’intervento dell’Agenzia in questo caso non abbia centrato alcuno di questi obiettivi, ma probabilmente l’esigenza di fare un po’ di cassa alle spalle di chi si è fidato dello stato e delle sue leggi, presumibilmente produrrà anche un danno economico, oltre che d’immagine, a seguito dei ricorsi giurisdizionali che inevitabilmente deriveranno, alcuni già preannunciati, con probabili ricadute anche su chi ha utilizzato il proprio acume giuridico per stravolgere il significato e i fini della legislazione, noncurante del potenziale danno all’erario.
L’occasione è opportuna per auspicare che, anche alla luce delle iniziative nostre e di altri, fintanto che non si avrà la piena consapevolezza delle difficoltà che hanno le migliori intelligenze del paese a sopravvivere in sistema di questo tipo, le istituzioni evitino di rivolgere più o meno intriganti inviti al rientro nel paese di origine, e soprattutto di ostacolare la mobilità di chi avesse l’intenzione di realizzare in condizioni migliori i propri progetti di vita misurandosi col mondo globalizzato. Infatti il modo di attrarre le nostre e altrui risorse umane dall’estero non può consistere in modesti correttivi al sistema (come presunte agevolazioni fiscali o assunzioni con vantaggi effimeri) bensì in cambiamenti profondi capaci di esercitare una vera attrazione in un contesto internazionale altamente competitivo. In questo senso andrebbero privilegiate iniziative, come quelle suaccennate, in grado di produrre esclusivamente vantaggi sistematici alla società italiana nel suo complesso incoraggiando indirettamente il rientro di chi, avendola abbandonata, si trova in fase di ripensamento.
In tutti i casi, riguardo al caso specifico, fermi nel proposito di coordinarci con i settori delle istituzioni più sensibili a questo genere di problemi in termini costruttivi, riteniamo che, onde contenere il danno che potrebbe produrre un passaparola negativo sul piano internazionale tra gli oltre cinque milioni di italiani residenti all’estero (ma quasi il doppio nella realtà, se si eccettua il funzionamento dell’incerto istituto dell’iscrizione all’AIRE), si ritiene indispensabile che il ministero controllante, cioè quello dell’economia, si faccia promotore di una direttiva chiarificatrice agli organismi sottoposti.
Il Coordinamento del Comitato 11 ottobre