
Il cosiddetto decreto sicurezza e immigrazione o anche decreto Salvini (d.l. n. 113/2018) convertito con modificazioni in legge n. 132/2018 ha apportato diverse modifiche alla normativa vigente in materia di cittadinanza, del “sistema asilo” con la ristrutturazione del sistema di accoglienza e integrazione, intervenendo sulle procedure per la richiesta di protezione internazionale.
Nelle ultime settimane l’ondata di dissenso e preoccupazione per le conseguenze derivanti dalle nuove norme ha coinvolto anche la Sardegna. Alcuni sindaci sardi (Alghero, Cagliari, Sassari, Nuoro, Samassi) si sono accodati alle prese di posizione capeggiate dai loro colleghi di Palermo e Napoli. Anche la Regione sarda si è detta pronta a ricorrere alla Consulta per chiarire i dubbi riguardanti alcune parti del decreto in questione, unendosi alla protesta di Toscana, Emilia Romagna, Abruzzo, Umbria e Calabria, Basilicata, Piemonte, Lazio, Marche, che, con modalità differenti, hanno chiesto al Governo un diverso approccio al fenomeno dell’immigrazione e in particolare la modifica della L. n. 132/2018.
Sono circa un centinaio i Comuni che hanno contestato il decreto immigrazione e Cristina Del Biaggio, ricercatrice dell’Università di Grenoble, ha elaborato una mappa dinamica che mostra la distribuzione territoriale del dissenso anche in base alle diverse tipologie di contestazione.
Un’opposizione che va dalla sospensione dell’applicazione delle nuove norme, alla richiesta di un confronto con il Governo per rivedere l’approccio alla gestione dei flussi migratori e per modificare quelle parti del decreto che si prevede esporranno una consistente parte di richiedenti asilo e beneficiari di protezione umanitaria (ora abrogata e sostituita da permessi speciali concessi con criteri molti più restrittivi) a una condizione di emarginazione e vulnerabilità, i cui costi e conseguenze verranno scaricati direttamente sui vari territori.
L’art. 13 del decreto sicurezza e immigrazione
Il punto centrale oggetto delle più recenti proteste riguarda l’art. 13 del decreto che modifica le precedenti norme sull’iscrizione anagrafica per gli stranieri richiedenti protezione internazionale.
Questa norma costituisce una risposta a quei Comuni che, a causa di una consistente presenza di richiedenti asilo nel territorio di propria competenza, hanno lamentato nel tempo un sovraccarico di lavoro per gli uffici anagrafe e per l’erogazione dei servizi a essi destinati.
L’articolo 13 (modificando l’art. 4 del d.lgs n. 142/2015) prevede che il permesso di soggiorno rilasciato ai richiedenti asilo non costituisca titolo valido per consentire l’iscrizione anagrafica e non negherebbe il diritto di iscrizione come, invece, sembra indicare la volontà del legislatore. Infatti, la Circolare del 18 dicembre 2018 emanata dal Ministero dell’Interno, chiarisce tale intento affermando che i richiedenti asilo non «saranno iscritti all’anagrafe della popolazione residente». Ciononostante, una lettura della nuova disposizione alla luce della normativa vigente lascia spazio a interpretazioni differenti.
L’iscrizione anagrafica è un diritto soggettivo, ma anche un dovere per i cittadini italiani e per gli stranieri regolarmente soggiornanti nel Paese. Per ottenere l’iscrizione, e lo status di residenza che ne consegue, è richiesta la sussistenza di condizioni soggettive (quali la dichiarazione di volontà dell’interessato di stabilire la propria residenza in un dato Comune) e oggettive (ovvero la stabilità della dimora e la regolarità del soggiorno, nel caso di cittadino straniero).
L’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente costituisce il presupposto per esercitare altri diritti. Non avere accesso alla residenza e il mancato possesso della carta d’identità impedisce o semplicemente ostacola l’accesso a diritti e servizi che altrimenti sarebbero garantiti, come l’iscrizione al servizio sanitario nazionale, ai centri per l’impiego, all’edilizia pubblica, ai sussidi sociali, ecc.
Lo stesso articolo 13 prevede che i servizi territoriali cui i richiedenti asilo hanno diritto verranno comunque garantiti, ma non fornisce precise indicazioni in merito all’applicazione di tale principio. Anche le linee guida “per conoscere il nuovo decreto“, pubblicate dal Ministero dell’Interno non chiariscono le modalità pratiche per superare tali perplessità.
Un documento d’identità valido è in genere richiesto per sottoscrivere un contratto di lavoro o di affitto, ma anche per aprire un conto corrente bancario. Se per i richiedenti asilo sarebbe sufficiente il permesso di soggiorno, spesso viene richiesto il possesso della carta d’identità (considerato che per la loro condizione difficilmente possiedono un passaporto o possono richiederlo presso le autorità del paese di origine).
Inoltre, le prassi dei vari Comuni riguardo le iscrizioni anagrafiche non sono omogenee sul territorio italiano, e non lo erano neanche prima dell’entrata in vigore del recente decreto immigrazione e sicurezza, nonostante, nel corso del tempo, si fosse consolidato un quadro giuridico ormai chiaro in materia. Lo scorso maggio la “Campagna LasciateCIEntrare” ha pubblicato il dossier “La Residenza. Un diritto a esercitare altri diritti“, che, partendo dalla normativa vigente sull’iscrizione anagrafica per stranieri, richiedenti e beneficiari di protezione internazionale e raccogliendo le prassi nei diversi Comuni, aveva evidenziato la difformità di comportamento degli uffici anagrafe dei diversi territori e messo a disposizione alcuni strumenti per superare le prassi illegittime rilevate, come un modello di diffida da utilizzare nei casi di rifiuto di iscrizione dei richiedente asilo o dei senza fissa dimora. Strumenti che fino a questo momento si erano mostrati utili per affrontare tali criticità. Oggi, queste nuove modifiche normative hanno introdotto maggiore incertezza con un aumento, già dichiarato, di possibili contenziosi.
Quali sono le critiche rivolte all’art. 13 del decreto sicurezza e immigrazione?Innanzitutto è stato rilevato che la nuova norma, se interpretata come preclusione all’iscrizione anagrafica, introduce una forma di discriminazione poiché stabilisce, senza una ragionevole motivazione, una diversità di trattamento solo per una parte di popolazione straniera regolarmente soggiornante nel territorio italiano, con violazione dell’art. 3 della Costituzione.
Inoltre, le nuove disposizioni sono in contrasto con altre norme in vigore, come il principio di parità di trattamento con i cittadini italiani prevista dall’art. 6 del d.lgs. n. 286/1998 (Testo Unico sull’Immigrazione).
Secondo diversi giuristi, infatti, un’interpretazione dell’art. 13 coerente con l’impianto normativo dell’ordinamento italiano, quindi con le norme costituzionali, con i principi comunitari e con le convenzioni internazionali, condurrebbe a un senso differente da quello inteso dal legislatore.
Secondo l’interpretazione del prof. di Filosofia del Diritto, Emiliano Santoro del Centro di informazione giuridica sull’immigrazione, per esempio, le nuove disposizioni non negano l’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo, ma solo la procedura semplificata di iscrizione al registro della popolazione residente per i richiedenti asilo che si trovano nelle strutture di accoglienza. Procedura introdotta (con l’articolo 5-bis del d.lgs. n. 142/2015) dal cosiddetto decreto Minniti-Orlando (d.l. n. 13/2017 convertito in L. n. 46/2017) che, prevedendo l’istituto della convivenza anagrafica, svincolava l’iscrizione dai controlli di norma previsti per gli altri stranieri regolarmente residenti e per i cittadini italiani.
Secondo l’interpretazione delle avvocate Nazzarena Zorzella e Daniela Consolo (entrambe Asgi) il decreto non esclude i richiedenti asilo dall’iscrizione anagrafica, ma indica che il permesso di soggiorno in loro possesso non consente di ottenere la residenza, quindi basterebbe individuare un documento alternativo come prova della regolarità del loro soggiorno in Italia. Secondo le avvocate, non potrebbe essere altrimenti, dato che “non sarebbe concepibile nel nostro ordinamento un divieto normativo implicito di un diritto soggettivo, come nel caso in esame quello all’iscrizione anagrafica”.
Altra proposta emersa è quella dell’iscrizione dei richiedenti asilo allo schedario della popolazione temporanea (art. 32 del DPR 223/198). Questa ipotesi, però, come spiega l’avv. Paolo Cognini, porrebbe questioni di illegittimità e sarebbe impugnabile dato che il ricorso a questo schedario risulterebbe ingiustificato sussistendo tutte le condizioni di iscrizione ordinaria. Cognini, sostenendo la chiara incostituzionalità della norma, interviene del dibattito proponendo una riflessione in riferimento alla richiesta di chiare indicazioni operative da parte delle amministrazioni. Propone, quindi, una linea interpretativa dell’inidoneità all’iscrizione del permesso di soggiorno per richiesta asilo disposta dall’art. 13, che, se riferita al venir meno dell’elemento oggettivo dell’abitualità della dimora può essere superata con la dimostrazione, da parte dell’interessato, della stabilità della dimora dichiarata.
Anche la Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti civili (CILD), realizzando una breve guida, è intervenuta nel tentativo di offrire indicazioni utili in tema di iscrizione anagrafica e accesso ai servizi .
Il 14 gennaio si è tenuto un confronto tra l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (Anci) e il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, durante il quale il Governo ha recepito alcune proposte presentate da parte dei rappresentanti dei sindaci e ha rassicurato sulla prossima emanazione di apposite circolari esplicative per superare le perplessità finora sollevate sull’applicazione del decreto.
È bene ricordare che i passati interventi chiarificatori del Ministero dell’Interno con circolari e con la pubblicazione, già nel 2015, delle “Linee guida sul diritto alla residenza dei richiedenti e beneficiari di protezione internazionale“, redatte dallo stesso Ministero in collaborazione con UNHCR, ANCI, ASGI, Servizio Centrale SPRAR e ANUSCA, non hanno portato a un’uniformità di interpretazione nell’intero territorio italiano, dando origine al verificarsi, com’è ormai noto, di prassi non corrette o illegittime.
Quali azioni possono essere intraprese?
In attesa di un chiarimento sui dubbi di illegittimità costituzionale su alcune parti del decreto e in particolare sull’iscrizione anagrafica, le istituzioni e i diversi soggetti interessati potranno avvalersi di diversi strumenti per affrontare questa confusione normativa.
I sindaci che continueranno a iscrivere all’anagrafe i richiedenti asilo potrebbero proporre l’eccezione di incostituzionalità delle norme da essi ritenute incostituzionali nel caso di impugnazione di fronte al Tar di un eventuale annullamento dei loro provvedimenti.
Le Regioni possono presentare ricorsi di incostituzionalità per le parti del decreto che avranno impatto sulle più importanti materie di legislazione regionale (per es. salute, assistenza sociale, diritto allo studio, formazione professionale e politiche attive del lavoro).
Gli stessi richiedenti asilo possono presentare ricorso, impugnando in sede giudiziaria il diniego all’iscrizione anagrafica – alcuni già promossi anche dall’Asgi -, richiamando l’articolo 3 della costituzione, affinché la Consulta si esprima sulla conformità della norma ai principi costituzionali.