Il Cedise, sorto nel 2011, ha scelto un momento cruciale per lanciare la propria attività, quello in cui la Sardegna e l’Italia sono divenute porte sempre più girevoli. Gli stranieri scelgono di stabilirsi nella nostra isola e da questa fuoriescono i sardi. I giovani sardi. Nulla di nuovo, dirà forse qualcuno, perché nell’Ichnusa ciclicamente si sono sempre alternati i popoli. Tuttavia la nostra è stata anche una terra che, nel suo austero defilarsi nel Mediterraneo, come diceva il geografo francese Le Lannou, pensava di aver trovato finalmente una certa tranquillità dopo qualche decennio di rivoluzione antropologica provocata dai circa cinquecentomila sardi che decidevano di stabilirsi fuori dei suoi confini.
La stessa Regione, che ha avuto il merito di saper controllare e gestire oculatamente l’emigrazione sarda, a fenomeno esaurito, forse pensa di levare gradualmente le tende dal territorio dell’associazionismo sardo nel mondo. Magari è incoraggiata indirettamente dal lento karakiri della classe dei dirigenti dei circoli, che non si rinnova, tiene lontani i giovani, si avita nei soliti riti. Tuttavia, anche questa oggi deve rivedere i suoi programmi. Forse i più avveduti leader dell’emigrazione sarda, nel tentativo di anticipare le soluzioni, correranno a rinfrescare le sedi e a spolverare i mobili per restituire ai circoli dei sardi l’antica funzione di pied-á-terre di chi arriva in un paese straniero alla ricerca di una qualsiasi sistemazione. Ma non so se per i nuovi problemi varranno le vecchie soluzioni.
Non è sicuro, infatti, che le giovani generazioni si accontentino di alcune formule di rito e di un certo paternalismo istituzionale. E neppure è certo che vorranno l’obolo della Regione. Emerge una nuova classe di cittadini del mondo che, non per mera scelta spirituale ma perché la baby boom generation gli ha lasciato solo l’osso (e sempre più consapevoli del dissesto delle finanze pubbliche), si adatta più facilmente a vivere senza i contributi dello stato o della regione e rinuncia alle sedi materiali, mantenendosi collegata e informata prevalentemente attraverso i social network e gli strumenti informatici.
Il problema, quindi, è più complesso di quanto non appaia a prima vista. La porta è e dovrà essere più girevole di quanto non sia oggi. Le società funzionano solo quando possono disporre del giusto equilibrio tra le varie classi d’età. L’invecchiamento crescente cui va incontro la Sardegna dal punto di vista economico aumenterà solo le difficoltà, giacché solo una popolazione giovane può affrontare le sfide del futuro e sostenere il mondo degli anziani che gli cresce intorno. Perciò, delle due l’una, o si fa in modo che i figli nati dalla generazione della crescita zero – destinati a loro volta, in queste condizioni, a un’altra tutta sottozero – non abbandonino la terra degli avi, oppure ci si adopera perché giovani di altre parti del mondo, dove non regna ancora il benessere occidentale, più disposti a mettere su famiglia con prole e ad adattarsi a lavori abbandonati dai residenti, ne prendano il posto.
In realtà, noi preferiamo soluzioni meno radicali e più intermedie. Ossia quelle che caratterizzano i paesi più avanzati, dove i residenti escono per brevi o lunghe esperienze, per arricchirsi nella conoscenza del mondo, e poi rientrano o altri gli subentrano spinti dal bisogno o dal desiderio di vivere in una nuova dimensione. Il problema è che in Italia, in genere, non capita come in USA o in Germania o in Inghilterra in cui il tedesco che esce, per ipotesi, è sostituito dall’indiano o dall’italiano che entra. Qui si esce ma, soprattutto con lo stesso livello di formazione scolastica, non si vede entrare proprio nessuno. La circolazione giovanile, linfa vitale della società, non è garantita.
Ecco dove nasce il problema. Ecco dove occorrerebbe lavorare.
La scelta della nostra organizzazione è di impegnarsi su un arco di problemi più possibile ampio e globale. Non esistono soluzioni parziali o indipendenti, a maggior ragione in un mondo sempre più globale e interrelato. Perciò, anche se organizzazioni simili alla nostra in genere si occupano solo dei propri “emigrati”, è nostra intenzione stare appresso al problema complessivo delle migrazioni e della mobilità delle persone. Occuparci, quindi, non solo di chi esce, ma anche di chi entra. Poiché intendiamo estendere lo stesso principio nella ricerca dei compagni di strada, abbiamo deciso di confluire nell’UNAIE, un’organizzazione che ci garantisce per indipendenza e dimensioni (vi aderiscono le principali “famiglie” delle associazioni italiane nel mondo e altre organizzazioni che agiscono non solo in quel campo, ma anche nei flussi migratori).
Come lavoriamo nel perseguimento di questi obiettivi? Ci dedicheremo soprattutto allo studio e all’analisi dei problemi, soprattutto attraverso iniziative di comunicazione. Ma avremo anche l’ambizione di varare iniziative concrete rivolte a stringere i legami con la nostra terra. Il turismo della memoria è la prima in cantiere, un’altra è di offrire un orientamento a chi vuole recarsi all’estero, di meno agevole attuazione perché è vista con maggiore diffidenza dalla società. Per le iniziative relative ai flussi migratori intendiamo non aggiungere nulla di nuovo a quello che oggi, anche in Sardegna, egregiamente si fa, ma solo collocarci in quel solco.
Poiché i programmi si giudicano dai risultati, è solo su quelli che intendiamo affidare il vostro giudizio.
ALDO ALEDDA
Presidente Cedise
1 Comment
Be non è una novità che i giovani d’oggi vanno via dalla sardegna perchè non trovano lavoro,per quanto riguarda i lavori che facevano i nostri vecchi (ora anche io faccio parte dei vecchi),sono dovuto emigrare alla bella età di 58 anni e mi trovo in argentina da 3 anni disoccupato ufficialmente ma facendo un lavoro poco remunerativo che in italia non mi permetterebbero di fare,
Ed anche i giovani trovano sempre maggiore difficoltà.Fare i vecchi lavori,fare il pastore? e a chi venderesti il latte se viene importato da fuori? Il contadino? Stesso discorso.Nessuno vuole lavorare gratis al servizio di chi si vuole arricchire alle spalle dei lavoraroti.